Benutzer:Haendelfan/Johann Adolf Hasse
Giovanni Adolfo HASSE
SOPRANNOMINATO IL CARO SASSONE
Nato a Bergedorf presso Amborgo nel 1705,
morto a Venezia li 22 di dicembre 1785.
- I genitori di Giovanni Adolfo avendo destinato allo studio della musica il giovanetto, questi vi fece così pronti avanzamenti che di tredici anni fu in grado di cantare, come tenore, sulle scene di Amborgo. Il famoso Keiser era allora il compositore di nusica di quel teatro; le sue opere ser virono ad Hasse di modello per lungo tempo. Nel 1722, Ulrico Koenig poeta della corte di Polonia , che si era dichiarato suo protettore, lo collocò al servizio del duca di Brunsvich. Hasse avea sortito dalla natura una bellissima voce che con grande artificio sapea modulare. Egli avea inoltre il dono di suonare il piano forte da gran maestro. Di diciott'anni diede sul teatro di Brunsvich l'Antigone, sua prima opera, che ottenne buon esito. Ma non ben pago di quello sperimento, e sentendo quanto gli rimanesse da acquistare nella scienza dell'armonia, prese commiato dal Duca, e venne in Italia nel 1724. Il celebre maestro Porpora insegnava allora in Napoli. Hasse principiò a studiare sotto di lui. Ma un maestro assai più dotto ben presto si attrasse i suoi sguardi. Era questo il famoso Scarlatti, il primo compositore della sua età. Le scarse so stanze di Hasse non gli concedevano di porsi fra i suoi allievi. Per buona ventura s'imbatte in lui in una conversazione, gli piacque per la sua modestia, pel suo rispetto, e Scarlatti si of ferse di dargli lezioni senza ricever mercede. Nel 1725 Hasse compose, per un ricco banchiere, una serenata che piacque assaissimo: essa gli fruttò la commissione di scrivere un'opera pel reale teatro di Napoli. Due anni dopo, fu nominato maestro di cappella del conservatorio degli incurabili a Venezia. Ivi conobbe la celebre Faustina , così rinomata per la bellezza della sua voce e che poi divenne sua moglie. Una breve notizia intorno a questa illustre cantatrice non parrà qui fuor di luogo. Faustina Bordoni, nata in Venezia nel 17oo studiò sotto Gasparini, ed adottò il metodo mo derno di Bernacchi, ch'ella molto contribuì a propagare. Faustina fece la sua prima comparsa sul gran teatro della sua patria nell'età di anni sedici. I suoi trionfi furono poscia così mirabili che a Firenze le coniarono una medaglia ; e si avea in uso di dire che i podagrosi lasciavano il loro letto quando ella doveva cantare. Ella fu chiamata a Vienna nel 1724 con uno stipendio di 15m. fiorini, e due anni dopo andò a Londra con 5om franchi di onorario Per ogni dove ella rapì gli ascoltatori con la freschezza e la bellezza della sua voce, con la grazia e la perfezione del suo canto: la chiamavano la Nuova Sirena. Fu in Londra ch'ella incontrò la celebre Cuzzoni, la qual godeva di grandissima fama. I frequentatori del teatro si divisero di opinione in [Seite 2] torno a queste due rivali. Haendal prese parte a queste discussioni che condussero uno scisma tra lui e i direttori. Faustina si dipartì dall'Inghilterra e recossi a Dresda, ove prese Hasse in marito.
Hasse compose in Venezia la sua opera di Artaserse, e quel famoso Miserere che viene a buon diritto considerato come un capolavoro della musica sacra. La fama di Hasse si diffuse ben tosto nella Germania. La corte di Polonia, che avea allora stabil dimora in Dresda, lo chiamò in quella città nel 1731 con uno stipendio di dodici mila talleri per lui e per Faustina. Egli colà pose sulle scene il suo Alessandro nelle Indie che venne cantato per più settimane. Hasse fece quindi ritorno in Italia, ove dimorò successivamente in Milano, in Roma, in Napoli ed in Venezia. In quel torno le scissure che regnavano in Londra fra Haendel e i direttori dell'Opera scoppiarono in aperta rottura. Farinelli e Senesino si unirono ai direttori, ma ci voleva un maestro. Essi chia marono Porpora e quindi Hasse. Questi, a malgrado del buon successo ottenuto, lasciò l'Inghil terra ben presto. Ei tornossene a Dresda, e colà pose sua ferma stanza. Il gran Federico, essendovi entrato vincitore nella campagna del 1745 , volle sentire un'opera di Hasse. Talmente con tento ei ne rimase, che gli mandò un regalo di mille talleri ed un anello di diamanti. Hasse perdè la voce nel 1755, e nel bombardamento di Dresda per opera de' Prussiani, fece un'altra perdita che gli riuscì anche più amara, quella di tutti i suoi manoscritti. Nel 1763 la corte di Dresda avendo provato grandi cangiamenti, Hasse e sua moglie furono ridotti ad una pensione di ritiro. Egli ne prese tal cordoglio che lasciò Dresda e si trasferì in Vienna, ove scrisse parec chie opere. Tornò quindi in Italia e terminò in Venezia i suoi giorni in età di settant'otto anni. Ultime sue composizioni furono un Te Deum e un Requiem, che s'era destinato per sè , ed avevalo affidato a Schuster, di Dresda. Le opere di Hasse stanno tra quelle di prima schiera nella musica italiana. Burney , così giusto estimatore del merito musicale, riconosce in esse la scienza, l'eleganza e la semplicità. Persuaso che la parte vocale è di tutte la più importante, Hasse vi consacrava tutte le sue cure, e ben guardavasi dal coprirla con ornamenti stranieri. L'espressione delle parole era la prima sua legge, quella a cui tutte le altre sacrificava. Non evvi cosa che agguagli la dolcezza, la purità, il naturale della sua melodia, talora sembra di ascol tare celesti concenti. Alcuni hanno osato rimproverarlo di mancar di armonia. Oh Vandali veri º Essi non sentono che questo rimprovero equivale a un grandissimo elogio. Degno imitatore di Leo , di Pergolese, Hasse scriveva in un tempo in cui ben rettamente si potea dire, che la musica italiana era di tutte la più perfetta, in cui quest'arte non avea ancor tralignato in canti biz zarri, senza significato, e tratti a forza, in una stanchevole armonia che nulla esprime, in una futile complicazione di accompagnamenti obbligati, di cui il più lieve sconcio è di svolgere l'at tenzione del principale soggetto. Egli teneva per fermo che il semplice, il naturale, il patetico, bastavano per adescare l'orecchio e per commuovere il cuore. Hasse avea posto più volte in mu sica tutte le opere di Metastasio. Trovasi la lista delle sue composizioni musicali per teatro nel Dizionario di Gerber. Egli ha pure composto molta musica di concerto o di chiesa, ed ha scritto le Litanie con arte maravigliosa.
Giovanni Adolfo HASSE
auch genannt IL SASSONE (Der Sachse)
Geboren 1705 in Bergedorf bei Hamburg,
starb am 22. Dezember 1785 in Venedig.
- Die Eltern von Giovanni Adolfo, der den jungen Mann mit dem Musikstudium beauftragt hatte, machten so schnelle Fortschritte, dass er als Tenor auf den Szenen von Amborgo singen konnte. Der berühmte Keiser war damals der Hauskomponist dieses Theaters; seine Werke wurden später eine ganze Zeit von Hasse nachempfunden. Im Jahr 1722 stellte ihn Ulrico Koenig, Hofdichter des Königs von Polen, der sich zu seinem Beschützer erklärt hatte, in den Dienst des Herzogs von Braunschweig. Hasse hatte von Natur aus eine schöne Stimme, die er mit großem Geschick zu modulieren wusste. Er war zudem ein großer Meister des Cembalospiels. Am Braunschweiger Hof führte Hasse seine erste Oper Antigono auf, die ziemlich erfolgreich war. Aber er zahlte nicht gut für dieses Experiment und als er hörte, wie viel er noch in der Wissenschaft der Harmonie zu verdienen hatte, verabschiedete er sich vom Herzog und kam 1724 nach Italien. Dort ging er in Neapel bei dem berühmten Meister Porpora in die Lehre. Doch schon bald zog ein viel gelehrterer Meister die Aufmerksamkeit des jungen Hasse auf sich. Dies war der berühmte Scarlatti, der erste Komponist seiner Zeit. Hasses knappe Finanzen jedoch erlaubten ihm nicht, Scarlatti um Unterricht zu ersuchen. Glücklicherweise konnte er ihn aber in ein Gespräch verwickeln. Scarlatti mochte den jungen Deutschen wegen seiner Bescheidenheit und seines Respekts ihm gegenüber und er beschloss, Hasse ohne Bezahlung Unterricht zu geben. 1725 komponierte Hasse eine Serenade für einen reichen Bankier, die dieser sehr mochte: Sie brachte ihm den Auftrag ein, ein Werk für das Teatro Reale von Neapel zu schreiben. Zwei Jahre später wurde er Kapellmeister am Conservatorio degli Incurabili in Venedig. Dort lernte er die berühmte Faustina kennen, die für die Schönheit ihrer Stimme bekannt war und später seine Frau wurde. Eine kurze Nachricht über diese berühmte Sängerin wird hier nicht fehl am Platz erscheinen. Faustina Bordoni, 1700 in Venedig geboren, studierte bei Gasparini und übernahm Bernacchis moderne Methode, zu deren Verbreitung sie maßgeblich beitrug. Faustina trat mit 16 Jahren zum ersten Mal auf dem großen Theater ihrer Heimat auf. Ihre Triumphe waren damals so bewundernswert, dass man ihr zu Ehren in Florenz gar eine Medaille prägte; und es war üblich zu sagen, dass die Gichtkranken von ihrem Krankenbett aufstanden, wenn sie sang. Sie wurde 1724 mit einem Gehalt von 15.000 Fiorini nach Wien berufen. Zwei Jahre später ging sie mit einem Honorar von jeweils 50.000 Fiorini nach London, wo sie die Zuhörer mit der Frische und Schönheit ihrer Stimme, mit der Anmut und Perfektion ihres Gesangs berührte: Sie nannten sie die "Neue Sirene". In London lernte sie die berühmte Cuzzoni kennen, die großen Ruhm genoss. Beide spalteten die Theaterbesucher in solche [Seite 2] , die für die Cuzzoni waren, und solche, die Faustina bevorzugten. Dennoch waren sie Zugpferde und sorgten dafür, dass die Zuschauer stets auf Neue zu diesen beiden Rivalinnen zurückkehrten. Händel nahm an diesen Diskussionen teil, die zu einer Spaltung zwischen ihm und den Direktoren (der Opernakademie) führten. Faustina verließ England und zog nach Dresden, wo sie Hasse als Ehemann nahm.
Hasse komponierte seine Oper Artaserse in Venedig und das berühmte Miserere, das zu Recht als Meisterwerk der geistlichen Musik gilt. Hasses Ruhm breitete sich bald auf Deutschland aus. Der polnische Königshof, der damals in Dresden residierte, rief ihn 1731 mit einem Gehalt von zwölftausend Talern für ihn und für Faustina in diese Stadt. Dort stellte er seine Oper Alessandro in India auf die Bühne, die mehrere Wochen lang gesungen wurde. Danach kehrte Hasse nach Italien zurück, wo er später in Mailand, Rom, Neapel und Venedig lebte. Zu dieser Zeit wurden aus den Streitereien in London zwischen Händel und den Direktoren der Opernakademie offene Schlagabtausche. Farinelli und Senesino schlossen sich den Direktoren an, aber sie brauchten natürlich auch einen eigenen Komponisten. Und so wandten sie sich zunächst an Porpora und dann an Hasse. Diese verließen trotz des guten Erfolges England sehr bald wieder. Hasse kehrte nach Dresden zurück, was er zu seinem festen Wohnsitz machte. Nach Einnahme Dresdens durch die preußischen Truppen 1745 wollte der große Friedrich ein Werk von Hasse hören. Er war davon so berührt, dass er dem Komponisten ein Geschenk von tausend Talern und einen Diamantring schicken ließ. 1755 verlor Hasse seine Stimme, und bei der Bombardierung Dresdens durch die Preußen machte er einen weiteren Verlust, der noch bitterer war, nämlich den aller seiner Manuskripte. Nachdem es 1763 am Dresdner Hof zu großen Veränderungen kam, wurden Hasse und seine Frau unter Bewilligung einer jährlichen Rente aus Diensten des Hofes entlassen. Hasse trauerte deswegen so sehr, dass er Dresden verließ und nach Wien zog, wo er mehrere Werke schrieb. Er kehrte nach Italien zurück und beendete seine Tage in Venedig im Alter von achtundsiebzig Jahren. Seine letzten Kompositionen waren ein Te Deum und ein Requiem, die er für sich bestimmt und Schuster aus Dresden anvertraut hatte. Hasses Werke gehören zu den ersten in der italienischen Musik. Burney, der Bewunderer musikalischer Verdienste, anerkannte Hasse wegen seiner Kunstfertigkeit, Eleganz und zugleich Einfachheit. In der Überzeugung, dass der Gesang das Wichtigste von allen ist, widmete Hasse ihm seine ganze Sorgfalt und achtete darauf, ihn nicht mit fremden Ornamenten zu bedecken. Den Worten zu bestem Ausdruck zu verhelfen war sein oberstes Gesetz, dem allea Andere geopfert wurde. Es gibt nichts, was seine Melodien an Süße, Reinheit und Natürlichkeit übertrifft. Im Gegenteil: manchmal scheinen sie himmlischen Sphären zu entspringen. Einige haben gewagt, ihm mangelnde Harmonie vorzuwerfen. Oh wahre Vandalen! Sie erkennen nicht mal, dass dieser Vorwurf ein großes Lob darstellt. Als würdiger Nachahmer von Leo und von Pergolesi schrieb Hasse zu einer Zeit, als er zu Recht sagen konnte, dass die italienische Musik die vollkommenste von allen sei, in der diese Kunst noch nicht in bedeutungslosen bizarren Liedern verraten wurde und in einer müden Harmonie verkam, die nichts mehr ausdrückt, bei der die obligate Begleitung nur sinnlos verkompliziert wurde und so das Hauptthema oft verdeckt wird. Er war der festen Überzeugung, dass das Einfache, das Natürliche, das Pathetische ausreichte, um das Ohr zu locken und das Herz zu bewegen. Hasse hatte mehrmals alle Werke von Metastasio vertont. Die Liste seiner musikalischen Kompositionen für das Theater finden Sie in Gerber's Lexikon. Er komponierte auch viel Konzert- oder Kirchenmusik und schrieb wunderbare Oratorien.
Artaserse (Hasse) und Vinci Brosses, Charles de (1709-1777). Des Präsidenten de Brosses' vertrauliche Briefe aus Italien an seine Freunde in Dijon, 1739-1740. Übersetzt von Werner Schwartzkopff. München: G. Müller, 1918 und 1922, Band 2: 310-311 Vinci, Adolf Hasse, genannt »il Sassone«, der von Geburt Deutscher ist, und Leo sind zur Zeit die, deren Stücke den größten Ruf haben. Vinci ist der italienische Lulli, ist wahr, schlicht und natürlich, hat viel Ausdruck und die schönste Melodie der Welt, ohne dabei zu künsteln, er hat viel geschaffen, wiewohl er sehr jung gestorben ist. Man sagt, er sei ein frecher Bursche gewesen und schließlich vergiftet worden, nachdem man ihn schon vorher wegen eines Liebeshandels, in den er allzu öffentlich mit einer vornehmen Dame verwickelt war, gezüchtigt hatte. [S. 311] »Artaxerxes« gilt für sein Bestes und ist gleichzeitig eines der besten Stücke des Metastasio, das er teils dem »Stilicho« von Thomas Corneille, teils dem »Xerxes« Crébillons entlehnt hat. Dieser Artaxerxes ist die berühmteste italienische Oper. Aufführen sehen habe ich sie zwar nicht, kenne sie aber doch, weil ich sie fast ganz in Konzerten gehört habe, ich war von ihr begeistert. So vortrefflich aber dies Werk Vincis ist, die Szene mit der Verzweiflung des Artaban, die der Dichter hinzugefügt und Hasse komponiert hat, übertrifft vielleicht alles andere. Das Rezitativ »Eccomi al fine in libertà del mio dolor« ist wundervoll, ebenso die Arie, die ihm folgt: »Pallido il sole«. Das Stück ist nicht leicht zu bekommen, Prinz Eduard war so gütig, es mir zu schenken, ich betrachte es als die schönste von den sieben- bis achthundert Arien, die ich aus verschiedenen Stücken habe abschreiben lassen. Hasse, »il Sassone«, ist sehr tüchtig, seine Opern sind mit großem Geschmack in Ausdruck und Harmonieführung gearbeitet. Auch Leo hat eine ungewöhnliche Begabung: er versteht ausgezeichnet, mit seiner Musik zu malen, seine Harmonien sind sehr rein, seine Melodien fein und gefällig und sehr gewählt in der Erfindung.
Musikalisches Conversations-Lexikon. Eine Encyklopädie der gesammten musikalischen Wissenschaften für gebildete aller Stände. Unter Mitwirkung der C. Billert, Franz M. Böhme [u.s.w.] Begründet von Hermann Mendel. Vollendet von August Reissmann. Leipzig: List & Francke [1880] Band 5: S. 82-90
Hasse, Johann Adolph, dem berühmtesten und in fast ganz Europa [S. 83] gefeiertsten Operncomponisten der vormozart'schen Musikepoche. Geboren am 25. März 1699 zu Bergedorf, erhielt er von seinem Vater den ersten Unter richt in der Kunst. Um seine Studien fortzusetzen, ging er in die benach barte grosse Hansestadt, welche zu jener Zeit gerade der Mittelpunkt bedeu tender musikalischer Bestrebungen war. Glückliche Anlagen, ein angenehmes Aeussere und eine schöne Tenorstimme erwarben ihm die Theilnahme eines einflussreichen Schriftstellers, Ulrich König, der ihn dem Direktor der ersten stehenden deutschen Oper Hamburgs, dem berühmten Reinh. Keiser, empfahl. In den Opern des Letztgenannten erschien H. zum ersten Male als Sänger auf der Bühne. Ueberhaupt hat Keiser den grössten Einfluss auf die allseitige Entwickelung der Fähigkeiten des jungen H. im Gesange, Clavierspiel und Tonsatz gehabt, wie es H. denn an vielfacher Anregung in Hamburg überhaupt nicht fehlte. Der Erfolg seines ersten und ferneren Auftretens und einige talentvolle Compositionsversuche verschafften ihm bald eine neue Empfehlung Königs und zwar an den Hof von Braunschweig, wo H. 1722 eintraf und zuerst als Opernsänger auftrat. Ein Jahr später, 1723, liess er schon seine erste Oper »Antigonus« dort aufführen. Dieses Werk, welches einige sehr an sprechende Sätze enthielt und überaus beifällig aufgenommen wurde, liess gleich zeitig wahrnehmen, was dem jungen Künstler noch Alles an einer guten theo retischen Ausbildung fehlte, und der Herzog von Braunschweig entschloss sich daher, ihn zur Vollendung seiner Musikstudien nach Italien gehen zu lassen. Im J. 1724 kam H. in Neapel an und begab sich für den Anfang unter die Leitung Porpora's, dessen Charakter und Rathschläge ihm aber nicht sugesagt zu haben scheinen.
Da H. ein fertiger Clavierspieler war, so wurde er in der feinen Gesell schaft sehr gern gesehen und hatte dadurch Gelegenheit, vor dem alten Ales sandro Scarlatti zu spielen, der ihn lieb gewann und bald ihm eine fast väter liche Zuneigung schenkte. Von den Rathschlägen und dem Schutze Scarlatti's seit 1725 unterstützt, hatte H. das Glück, einen reichen Kaufherrn kennen zu lernen, welcher von ihm eine zweistimmige Serenade für ein Familienfest ver langte. Dies Musikstück wurde später öffentlich und zwar von dem berühmten Farinelli und der Tesi vorgetragen, und der Erfolg dieser Leistung H's war so gross in Neapel, dass der junge und liebenswürdige deutsche Künstler (il caro Sassone, wie ihn die Schönen Neapels schon nannten, welcher Beiname ihm auch für die Zukunft verblieb) die Aufforderung erhielt, für das grosse königl. Theater eine Oper zu componieren. Es war dies »Sesostrate«, welches Werk im Mai 1726 gegeben wurde und bald den Namen des jungen Meisters durch ganz Italien verbreitete. Er selbst aber ging 1727 nach Venedig, wohin ihn sein guter Stern und der Glanz einer Stadt riefen, die nicht ihres Gleichen in der Welt hat. Er war 28 Jahre alt, in der Vollkraft des Lebens und in der ersten Entfaltung seines Ruhmes begriffen, was der jugendlichen Zuversicht ein so unendliches Wachsthum verleiht. Er wurde von dem hohen vene tianischen Adel mit grosser Auszeichnung empfangen und in ihre Paläste und Clubs eingeführt.
Im Theater und in der Kirche bewundert, von der grossen Welt ausge zeichnet, zu deren Unterhaltung er durch seine herrliche Stimme und sein Talent als Clavierspieler das Beste beitrug, wurde er schnell der Held des Tages. Die Damen bekränzten ihn mit Blumen, die geschäftigen Abbates aus der eleganten Sphäre verfolgten ihn mit ihren Sonetten, sogar die Gondelfahrer begleiteten ihn mit dem lärmenden Zurufe: »Es lebe der geliebte Sachse!« Er wurde noch 1727 zum Professor und Kapellmeister an einer der vier Musik schulen Venedigs, am Conservatorio degl” Incurabili, ernannt, für welche er ein Miserere für zwei Sopran-, zwei Altstimmen und Streichquartett componierte, das seinen Ruf behauptete, in der Folge alljährlich am Charfreitage in Venedig aufgeführt wurde und über welches sich der Padre Martini, der sich auf der gleichen verstand, wie kaum ein Anderer, mit. Entzücken äusserte. Nach einer [S. 84] kurzen Reise nach Neapel, 1728, wohin er ging, um eine neue Oper, »Attalo, rè di Bitinia«, aufführen zu lassen, welche seine früheren glänzenden Erfolge nur bestätigte, kehrte er nach Venedig zurück, wo ihn eines der glücklichsten und beneidetsten Ereignisse seines Lebens erwartete.
Es lebte zu jener Zeit, vom Theater in London gekommen, in dieser Wunderstadt eine junge, schöne Frau von bezauberndem Geiste, eine jener Königinnen der Kunst und der Phantasie, wie sie einzig Italien hervorbringen kann. Faustina Bordoni, die hier Gemeinte, 1700 zu Venedig von wohl habenden und angesehenen Eltern geboren, ward schon in früher Jugend für die dramatische Laufbahn bestimmt. Kenntnissreich, lebhaft und von Ehrgeiz erfüllt, studierte sie mit Eifer die Grundsätze des Gesanges und der Musik überhaupt unter der Leitung des vortrefflichen Francesco Gasparini, welcher auch der Lehrer Marcello's und Direktor des Conservatoriums della pietà war. Die seltenen Anlagen Faustina's, ihre reizende Persönlichkeit und die Pracht ihres schönen Organes zogen die Aufmerksamkeit des grossen und vornehmen Benedetto Marcello, des Componisten der bewunderungswürdigen und allbe kannten Psalmen, auf sich, und er zog Faustina in seinen Palast, in welchem er eine Art Akademie gebildet hatte, die allen berühmten Musikern, Dichtern und Schöngeistern Venedigs zum Sammelplatz diente. Marcello selbst, als eifriger Verehrer von Kunst und Wissenschaft, fand seine Freude daran, die lernbegierige Jugend mit seiner Börse und seinem Unterrichte zu unterstützen. Er gab der reizenden Faustina Lectionen, lehrte sie richtig athmen, den Ton einsetzen und das Recitativ vortragen, welches in der guten altitalienischen Schule für den wichtigsten Theil der Gesangskunst galt. Marcello arbeitete damals gerade an seinen Psalmen, deren Text in italienischen Versen ihm sein Freund Girolamo lieferte, ein Edelmann, der sich ebenfalls nicht blos mit den Vorzügen begnügte, die ihm seine Abstammung verliehen.
Sechszehn Jahre alt, trat Faustina in Venedig in »Ariodante« auf, der Oper eines unbedeutenden Componisten, Polarolo. Vor diesem Volke von Künstlern, welches so gut verstand, den Ernst der Politik mit den Zerstreu ungen eines heiteren Daseins, die Sorgen des Kaufmannes mit der Lebenslust des Edelmannes zu vereinigen, war der Erfolg der jungen Künstlerin ein glän zender. Dennoch, sei es, dass Faustina selbst mit sich unzufrieden war, sei es, dass ihr Marcello zu verstehen gab, wie viel ihr noch fehle, um das Ziel zu erreichen, das er ihrem Ehrgeize gezeigt, genug, sie verschwand plötzlich vom Schauplatze und hielt sich einige Zeit ganz zurückgezogen, um ihre schwie rigsten Parthien, mit denen sie später die Welt entzückte, aufs Sorgfältigste zu studieren. Ein Jahr später, 1717, trat sie wieder und mit grösserer Sicherheit auf. Sie feierte den vollständigsten Triumph, indem sie alle Herzen bezauberte. Bald darnach nach Florenz berufen, ist für den unerhörten Jubel, den sie erregte, ein unzweifelhaftes Zeugniss geblieben, nämlich eine Denkmünze, welche man ihr zu Ehren prägte. Auch in Neapel wollte man ein so himmlisches Wesen bewundern. Im J. 1722 erschien Faustina dort zum ersten Male in der Oper »Bajazet« von Leo, und errang einen vollständigen Erfolg. Ihr Ruf war bereits über die Gränzen Italiens hinausgedrungen, und Faustina wurde am Theater zu Wien mit einem jährlichen Gehalte von 15.000 Gulden ange stellt. Sie erschien gegen Ende 1724 am Hofe Kaiser Karl's VI, des Vaters von Maria Theresia, des Mitbewerbers um die spanische Erbfolge und des viel leicht leidenschaftlichsten Musikliebhabers seiner Zeit, der selbst ausgezeichnet Clavier spielte und Opern componierte, welche die Mitglieder seiner Familie und die Grossen seines Reiches aufführen mussten. Sein Hof wimmelte daher auch von Musikern und Virtuosen, die ihm ungeheure Summen kosteten. Faustina wurde von ihnen gut empfangen und erwarb sich bald den Beifall auch der pedantischsten und peinlichsten Kunstrichter, zu denen der alte Kapellmeister Fux gehörte.
Es scheint jedoch, dass sich auch Gegner dieses prachtvollen Talentes [S. 85] erhoben. Die Engherzigkeit des alten Wiens fand bald einige Vertreter, die sich an dem Anblicke erbosten, wie diese holden Sirenen Italiens, ganz aus Liebreiz gewoben, die Gunst des Hofes in Beschlag nahmen und in den Herzen der Jugend sträfliche Wünsche erregten. Faustina kümmerte sich wenig um diese grämlichen Philosophen und zerstreute durch einen einzigen Ton alle Wolken, mit denen man ihren Ruhm verdunkeln und ihre Allgewalt schwächen wollte. Sie war zwei Jahre lang am österreichischen Hofe, als Händel, welcher auf Reisen war, um Sänger zu suchen, die ihn in seinem Kampfe mit den Gegnern seines Genies unterstützen konnten, nach Wien kam, sie hörte und sofort für sein Theater in London für 2000 Pfd. Sterl. gewann. Faustina kam 1726 in England an, wo sie die Cuzzoni fand, welche dort seit drei Jahren über die Herzen aller drei Königreiche herrschte und sich ihre Eroberung nicht leichten Kaufes entreissen liess.
Diese beiden berühmten und durchaus ebenbürtigen Künstlerinnen hatten schon einmal in Venedig, im J. 1717, ihre Kräfte an einander gemessen, wo sie zusammen in einer Oper Gasparini's, »La mano«, sangen. Jede von ihnen war zwar mit eigenthümlichen Vorzügen begabt, die sich noch mehr durch ihren glücklichen Gegensatz hervorhoben, den beide Frauen bildeten, wenn sie neben einander erschienen. Das Publikum aber, von dem interessanten Wett eifer Beider angezogen, reizte sie nur zu um so lebhafteren Anstrengungen, durch deren Erfolge die grosse Welt in zwei Lager gespalten ward. Es war dies der erste jener grossen Kämpfe, zu denen England seit Anfang des 18. Jahrhunderts bis auf die allerneueste Zeit den Schauplatz abgab. In einer Oper Händel's, »Alessandro«, sang Faustina zum ersten Male in London. Neben ihr waren die Cuzzoni und der Sopranist Senesino beschäftigt, Alle mit Aufgaben versehen, die ihrem Talente vom Componisten vortrefflich angepasst waren. Die Cuzzoni sang die erste Arie, »Dolce amor sorrise«, welche höchst anmuthig war; dann folgte eine Arie der Faustina: »Lusinghe pii cara«, von einem etwas kräftigeren Charakter und so frischer Melodie, dass dieselbe bald populär wurde. Nachdem so Jede einzeln sich versucht hatte, sangen Beide als Clorinde und Herminia ein Duett zusammen, worin Händel mit vielem Takte die Eigenliebe beider Rivalinnen berücksichtigt hatte. Der Eindruck dieser Nummer war unbeschreiblich wunderbar. Im dritten Akte sang die Cuzzoni noch: »Alla sua gabbia d'oro« und triumphierte vollständig damit. Später sangen beide Künstlerinnen nochmals zusammen in der letzten Oper Händel's, »Othon«, in welcher die Cuzzoni eine Arie zum Entzücken vortrug. Dann aber musste man die Beiden getrennt von einander halten, denn der Krieg zwischen ihnen war erklärt, und es misslang selbst Händel, trotz seiner Willensfestigkeit und der herben Strenge seines Wesens, diese beiden entgegengesetzten Noten der Tonleiter der Leidenschaft mit einander in Einklang zu bringen. Die Zerwürfnisse künstlerischer Eifersucht gingen so weit, dass ein englischer Verfechter der Faustina, sich mit einem französischen Prinzen des Hauses Orleans, der ein Verehrer der Cuzzoni war, duellierte und Sieger blieb. Die Cuzzoni musste in der That vorläufig England verlassen, wo sich ihre Nebenbuhlerin als Herrin des Kampfplatzes behauptete. Hochgefeiert und mit Ehren und Gold beladen, kehrte endlich Ende des Jahres 1728 auch Faustina nach Venedig zurück und lebte dort längere Zeit zurückgezogen, aber von Anbetern umgeben und eine feenhafte Pracht, um sich verbreitend. Da sie der Ruhe bedürftig war, so sang sie nur in befreundeten Häusern vor einem ausgewählten Zu hörerkreise, aber auch blos, wenn sich ihr Meister Benedetto Marcello da selbst befand.
In dieser Zeit fühlte sich Faustina, von dem Aufsehen belästigt, welches der ihr noch unbekannte junge H, schon berühmt durch seine Leistungen und seine liebenswürdige Persönlichkeit, in Venedig machte. Sie hatte es entschieden abgelehnt, ihn zu sehen, aus Eigensinn vielleicht, oder aus Verdruss, dass sie ihn noch nicht unter den Höflingen bemerkte, die ihre Zurückgezogenheit be- [S. 86] lebten. Eines Tages willigte sie endlich nicht ohne Sträuben ein, sich in eine Gesellschaft zu begeben, wo der caro Sassone ebenfalls erscheinen sollte. Dieser, höchst anspruchslos in seinem Auftreten, blieb einen Theil des Abends unbe achtet in einer Ecke, bis man ihn endlich ersuchte, ein Stück seiner Composition zu singen. Er wählte eine jener gefühlvollen Arien, die er gar trefflich zu componiren verstand, und spielte dann noch mit grosser Vollendung eine der schwierigen Sonaten von Scarlatti. Ohne Faustina gesehen zu haben, die hinter seinem Rücken ihm mit steigendem Entzücken zuhörte, gingen. Beide auseinander. Aber das leicht entzündbare Herz der italienischen Künstlerin hatte Feuer gefangen; nicht gewöhnt, sich einen Wunsch zu versagen, zog sie H. in ihre Nähe, und kurze Zeit nach dieser glücklichen Begegnung folgte die Aufsehen machende Vermählung Beider. H. brachte seiner Gattin als »Morgen gabe« eine schöne Parthie in der ersten Oper, welche er für sie schrieb, »Da lisa«, die 1730 in Venedig zur Aufführung gelangte. Er schrieb für seine geliebte Venetianerin noch eine zweite Oper, eine seiner besten Partituren: »Artasersee, welche im Theater des heiligen Johannes Chrysostomus mit grossem Erfolge gegeben wurde.
Damals traf ihn ein glänzender Ruf als Ober-Kapellmeister an den königl. polnischen und kurfürstl. sächsischen Hof in Dresden, und er begab sich mit seiner Faustina, die gleichzeitig als Primadonna der dortigen italienischen Oper engagiert worden war (Beide mit 12.000 Thalern Gehalt), nach Deutschland zurück. Wahrscheinlich hielten sie sich in München auf der Durchreise auf und Faustina liess sich auch hören, denn ein Schöngeist des bairischen Hofes widmete ihr ein lateinisches Gedicht, von dem einige Verse das Talent der reizenden Sängerin sehr richtig als ein Herz und Gemüth bewegendes charak terisieren. An dem Hofe des prunkvollen, galanten Kurfürsten August II, welcher der Mittelpunkt von Intriguen und Verführungen aller Art war, traf H. mit seiner schönen Faustina 1731 ein. Beide waren noch jung, beide ge feiert und anerkannt Meister in der Kunst des Gefallens. Die erste Oper, welche H. für das Dresdener Theater schrieb und mit reichen Gesang- und Orchesterkräften aufführte, war »Alessandro nell’ Indie«, die als eines seiner Meisterwerke betrachtet wurde. Faustina war bewundernswürdig darin und verdiente den Beifall der strengsten Kunstrichter. Alle Opern, welche H. während der dreissig Jahre componierte, die er am sächsischen Hofe zubrachte, waren darauf berechnet, den Ruhm der schönen Venetianerin, die ihm unauf hörlich als seine wirkliche Muse vorschwebte, zu verherrlichen. Aber schon die ebengenannte Oper brachte den feurig liebenden Gatten um den Alleinbesitz seiner angebeteten Frau. Denn gar zu glanzvoll zudringlich hatte er die Vor züge derselben in das schönste Licht zu stellen sich bemüht, als dass nicht der leidenschaftliche Kurfürst für die in jeder Beziehung reizende Sängerin hätte glühen sollen.
Dem Gatten wurde demnach deutlich aber entschieden unter den Fuss gegeben, er möge zum Besten der Kunst und seines Talentes abermals eine Reise nach Italien unternehmen. Tiefen Kummer im Herzen, aber sich ins Unvermeidliche fügend, verliess er 1733 Dresden für einige Zeit, seine allzu verführerische Faustina zurücklassend, wie es befohlen. Ihr Bild aber trug er im Innersten seiner Seele mit sich hinweg und durchwanderte das Land seiner ersten Triumphe, besuchte abermals die Städte Venedig, Mailand, Neapel, indem er Opern schrieb, die überall mit demselben Beifallssturm aufgenommen wur den, deren Erfolge aber sein Lebensglück nicht mehr ausmachten. In Dresden befand sich der Gegenstand aller seiner Gedanken; dahin eilte er bis 1740 immer wieder, von Hoffnung und Besorgniss erfüllt, zurück und wurde, kaum angelangt, von höchster Seite her wieder gehen geheissen. H. war in dieser Periode, 1733, von Italien aus auch nach England berufen worden, um den er bitterten Kampf, dessen Schauplatz London geblieben war, mit fortsetzen zu helfen. Als man ihm diesen Vorschlag machte, rief er mit einer seines Talentes [S. 87] würdigen Bescheidenheit aus: »Ist denn Händel todt?« Er konnte sich nicht denken, dass ein Land, welches ein so grosses Genie wie Händel zu besitzen das Glück hatte, sich an andere Componisten wenden konnte. Obwohl mit der grössten Auszeichnung behandelt, verweilte er nur kurze Zeit in London, kaum länger, als um die Inscenesetzung seines »Artaserse« zu leiten, um nicht mit dem überragenden Meister in Nebenbuhlerschaft zu treten.
Im Winter von 1739 auf 1740 war H. in Venedig, und diesmal war seine geliebte Gattin bei ihm. Mit ihr kehrte er hierauf nach Dresden zurück, wo selbst nun Faustina ihren noch immer fast unbeschränkten Einfluss zu Gunsten ihres Mannes und seiner Stellung geltend machte. Dennoch hatte H. in stark befestigter musikalischer Souveränetät noch immer mit Widerwärtigkeiten zu kämpfen, deren Hauptgegenstand der alte Porpora, sein erster italienischer Lehrer, war, den sich die Erbprinzessin von Sachsen, eine Erzherzogin von Oesterreich, zum Gesangslehrer erkoren hatte. Seit ihrer Begegnung in Neapel widmeten sich diese gefeierten Musiker einen gründlichen Hass, den die Zeit keineswegs gemildert hatte. Die gnädige Aufnahme, welche Porpora gefunden hatte, und sein Einfluss auf die Erbprinzessin, welche sehr geschmackvoll sang, waren H. ein Dorn im Auge, und als nun gar Porpora's jugendliche, bei Hofe und in der Stadt gefeierte Schülerin Regina Mingotti den Glanz seiner über Alles geliebten Faustina zu verdunkeln anfing, da hätte H. nicht Ober-Kapell meister sein müssen, um seine Autorität nicht zur kleinlichsten Intrigue aus zunützen, der zunächst die junge Künstlerin weichen musste.
Nach dem Tode August’s II. befestigte H. seine Macht wesentlich. Denn August III. war ein ebenfalls prachtliebender Fürst, ein grosser Jäger und erklärter Verehrer der italienischen Musik, welcher sich sein ganzes Leben hindurch von seinem allmächtigen Minister, dem Grafen Brühl, beherrschen liess. Unter seiner kraftlosen Regierung, wo Feste, Schauspiele, Kunstschau stellungen und Vergnügungen jeder Art den Geist des Königs in Beschlag nahmen und die Einkünfte des Landes verschlangen, trat der siebenjährige Krieg ein, welcher Sachsen vollends zerrüttete und seine Unabhängigkeit auf das Spiel setzte. Friedrich der Grosse fiel im Ganzen zwei Mal mit bewaffneter Hand in Dresden ein, zuerst 1745 nach der Schlacht bei Kesselsdorf Er wohnte noch an demselben Abende der italienischen Oper bei, wo man »Arminio« von H. gab, und der kunstverständige preussische König wurde durch Faustina's Leistung und das vortreffliche Hofopernorchester in Erstaunen gesetzt. Während seines damaligen neuntägigen Aufenthaltes wurde H. jeden Abend zu dem gekrönten Kunstfreunde beschieden, um ihm auf dem Flügel zu accompagniren, und als der König abreiste, drückte er ihm seine Zufriedenheit durch Ueberreichung eines Diamantringes aus, während dem Orchester eine Summe von 1000 Thalern überwiesen wurde, die H. vertheilen musste. Im J. 1760 kam Friedrich abermals, aber minder leicht nach Dresden. Er beschoss die Stadt mit Kanonen, und während des Bombardements, von dem die Geschichte eine traurige Erinnerung aufbewahrt, musste H. seine schöne Bibliothek und einen Theil seiner Manuscripte verbrennen sehen, welche er zu einer vollständigen Herausgabe seiner Werke geordnet hatte, die auf Kosten seines Landesherrn geschehen sollte. Andere Unfälle waren vorhergegangen. So litt H. seit 1755 an einer anhaltenden Heiserkeit, die ihm seine schöne Tenorstimme für immer geraubt und seine Sprache allmälig so leise gemacht hatte, dass man zuletzt Mühe hatte, ihn zu verstehen.
Aber die Belagerung Dresdens hatte noch härtere Folgen für H., als den Verlust seiner Werke. August III. nämlich empfand endlich das Bedürfniss, seine total zerrütteten Geldverhältnisse einigermaassen zu ordnen; er enthob u. A. 1763 das Ehepaar H. seiner Functionen und belohnte ihre jahrelangen Dienste durch eine bedeutende Pension. H., der aus dem ihm lieb gewordenen Wirkungskreise ungern geschieden war, ging bald darauf mit seiner Familie nach Wien, wo er für den Carneval und zu Hoffesten bis 1766 ausser sechs [S. 88] Opern noch viele Kammermusikwerke schrieb. Im J. 1769 componierte er das von seinen meisten übrigon Werken abweichende Intermezzo »Piramo e Tisbe«. Zwei Jahre später begab er sich nach Mailand, wo er seine letzte Oper, »Rug giero, für die Hochzeit des Erzherzogs Ferdinand schuf und dann, auf Wunsch Faustina's, nach Venedig. Auch hier componierte der greise, von der Gicht schwer geplagte Meister noch Manches von Bedeutung. Namentlich sandte er durch den Kapellmeister Schuster eine vierstimmige Messe und das vielgenannte Requiem nach Dresden, das er übrigens nicht für sein Begräbniss, sondern für die Obsequien August’s III. gesetzt hatte. Als seine allerletzte Composition wird ein Te deum bezeichnet, welches er um 1780 schrieb und welches bei Anwesenheit des Papstes in Venedig aufgeführt wurde. H. starb am 23. Decbr. 1783 zu Venedig an der Gicht; seine gefeierte Gattin, deren Todesjahr und Todestag sich in Dunkel hüllt, war ihm jedenfalls schon vorauf gegangen. Franz Sal. Kandler hat mit vieler Mühe 1820 H.'s verfallene letzte Ruhestätte in der Kirche von Santa Marcuola aufgefunden und auf derselben ein Denkmal von weissem Marmor errichten lassen.
Die drei Kinder des bochberühmten Paares, ein Sohn und zwei Töchter, hatten die Anmuth ihrer Mutter nicht geerbt. H. war gross, stark gebaut und hatte ein sehr schönes Gesicht; auf seiner grossen, gewölbten Stirn, welche an seinen Bildern hervorsticht, sprach sich die Geradheit seiner Seele und die Anmuth seiner die Zeitgenossen erquickenden Melodien aus. Er war aller dings auch nicht ohne Charakterschwächen, und sein Benehmen gegen Porpora, dessen Alter er verbitterte, kann man weder gutheissen noch entschuldigen. – Faustina's Persönlichkeit vereinigte alle Vorzüge Italiens. Sie war von kleiner, ebenmässiger Gestalt, und in ihrem strahlenden Antlitze glänzten zwei schöne, schwarze, schelmische Augen. Ihr edel geschnittener Mund liess fast ununter brochen zwei Reihen kleiner, feiner Zähne sehen, die ein schönes Lächeln ver breiteten. Wohl erzogen und gut unterrichtet, mit lebhafter Einbildungskraft begabt, war Faustina eine Frau, die alle Grazie einer venetianischen Edeldame besass. Ihre Mezzo-Sopranstimme hatte den grossen Umfang von beinahe zwei Octaven, und diese lange, schöne Stufenleiter silberreiner Töne war von wunder barer Biegsamkeit. Da sie vortrefflich musikalisch gebildet, mit dem seltensten dramatischen Bewusstsein ausgestattet war, wendete sie mit grösster Leichtigkeit die verwickeltsten Verzierungen an. Alle Wunder der Vocalisation, die ein fache und chromatische Tonleiter, die Triller und melodischen Funken ihres anmuthig bewegten Geistes strömten aus ihrem Munde. Ihre Intonation war nie unsicher, ihre sanfte, durchdringende, mehr helle als starke Stimme führte, ohne zu straucheln, die kühnsten Schwierigkeiten aus. Faustina berührte in ihrem Gesange die Leidenschaft, ohne sie vollständig auszudrücken; sie streifte blos die Oberfläche der Tiefen, ohne hinabzutauchen, und führte dafür in der reizendsten Weise tausend tändelnde Spiele aus. Ihre Aussprache war voll endet. Alle Zeitgenossen der seltenen Frau stimmen darin überein, dass sie die Eigenschaft besass, welche die Italiener mit »il canto granito« bezeichnen; d. h. eine Gesangweise, die perlenartig fliesst, süss und durchdringend ein glückliches Gemisch von Anmuth und Kraft, Schatten und Licht, Heiterkeit und Ernst bietet. Alle Kunstrichter: Mancini, Burney, Hawkins, Schubart, Quantz u. s. w, welche diese zehnte Muse Italiens gehört, sind einig in ihrem Urtheile über Faustina. Grossmüthig, phantastisch, von Geist und muthwilliger Heiterkeit erfüllt, hatte sie überdies einen jener tausendfarbig schillernden Charaktere, der seltensten Gegensätze voll. Ihre Unterhaltung war ein flackern des Feuer von merkwürdigen Anekdoten, eine lebendige Geschichte der da maligen Musik. Selbst als 72jährige Frau hatte sie nichts von der Heiterkeit, dem Witz und der Lebhaftigkeit ihrer Jugend eingebüsst. Zwei authentische Bilder giebt es von ihr; das eine, in London gefertigt, stellt sie im vollen Glanze der Jugend dar, das andere, ein Pastellgemälde von Rosalba, befindet sich in der Dresdener Gallerie.
[S. 89] Zu Anfange des 18. Jahrhunderts, einige Jahre vor Gluck, geboren und kein Originalgenie, hat H. nicht die kräftige Leidenschaft des Letzteren, auch nicht die markig deutschen Eigenschaften seiner Zeitgenossen Keiser, Händel und Seb. Bach; er liess sich vielmehr gänzlich von der melodischen Kunst Neapels und Venedigs berauschen und hinreissen, wurde den Kunstgesetzen seiner nordischen Heimath untreu. Kein Wunder, denn von den Frauen ver wöhnt, bewundert und gefeiert von dem maiven Volke Italiens, welches noch den leicht entzündbaren und lärmenden Enthusiasmus seiner Heldenzeit be wahrte, – so ward H. von seinem ersten selbstständigen Auftreten an mit Blumen gekrönt und als Kind Hesperiens betrachtet. Seine zahlreichen Opern, von denen nur eine einzige deutschen Text hat, gleichen sämmtlich, was die Vertheilung und den Zuschnitt der Musiknummern betrifft, den Opern von Vinci, Porpora, Leo, Pergolese und den übrigen Meistern der damaligen ita lienischen Schule. Es ist eine Reihenfolge von Arien, alle auf dieselbe Art gebildet, mit ein oder zwei Duetten, selten ein Terzett und einigen sehr ein fachen Chören versehen. Seine Instrumentation beschränkt sich im Allgemeinen auf das Bogenquartett, von einigen Seufzern der Oboe, der Flöte und des Fagotts begleitet. In pathetische Scenen liess er das Horn und zuweilen auch die Trompete hineinklingen.
Dies sind die Farben, aus denen H's Orchester bestand; es war weder mannigfaltiger, noch hatte es mehr Fülle als dasjenige Händel's. Aber durch die Anmuth und Zartheit der Melodien, durch die dem Zeitgeschmacke an gepasste Schönheit der Arien und Duette, geeignet, das Talent damaliger Ge sangskünstler hervorzuheben, hat sich H. seinen Ruhm erworben; er war ein Instinktmusiker, der mit Leichtigkeit und Gewandtheit die glücklichen, trotz vieler Verbrämungen einfachen und sangbar charakteristischen Gesänge nieder schrieb, wie sie ihm sein Herz eingab. Daher waren seine Opern und selbst seine kaum mehr ernsthaften Kirchenmusiken von den Sopranisten und Sänge rinnen der Mode überaus gesucht. Seine klaren, wohlthuenden Weisen, welche die Freuden und Leiden der Liebe zierlich malen, haben Europa entzückt, und zehn Jahre hindurch erheiterte der berühmte Farinelli den schwermüthigen König Philipp V. von Spanien, indem er ihm allabendlich einige Arien H.'s vortrug. Durch die Lieblichkeit und den milden Charakter seiner Musik, deren rhythmische Uebersichtlichkeit und Fasslichkeit und durch die Einfachheit seiner Formen gehört H., wie schon erwähnt, der italienischen Schule der ersten Hälfte des 18. Jahrhunderts an, deren Schwächen und reizende Eigenschaften er besitzt; für die letzteren war sogar ein Seb. Bach zugänglich, der nicht selten nach Dresden reiste, um H's Musik in der dort durch den Meister selbst gepflegten Vollkommenheit zu hören. H's Gesang beschwichtigte die Leiden schaften viel mehr, als dass er sie heraufbeschwor. Wäre dies ebenfalls der Fall gewesen, hätte er auch eine tiefere Durchdringung des Harmonischen offenbart und nicht rein schablonenmässig gearbeitet, so würde sich sein Einfluss bei Weitem länger gehalten haben. So aber musste sein liebenswürdiges Talent den später auftretenden Grossmeistern der Bühne, Gluck mit seiner Tiefe und Mozart mit seiner gediegenen urbanen Universalität, gegenüber als bald in tiefen Schatten treten, und der Einfluss desselben war nicht dazu an gethan, seine Person zu überleben. Als er sich 1771 im Greisenalter noch nach Mailand begab, um seine letzte Oper zu componiren, traf er auf den jungen, damals vierzehnjährigen Mozart, welcher dort gleichzeitig mit seinem ersten musikalisch dramatischen Versuche, »Mitridate, rè di Ponte«, debütierte. H., als er das Lallen dieser göttlichen Muse hörte, brach tief bewegt in die denkwürdigen Worte aus, die zu einer in Erfüllung gegangenen Prophezeiung geworden sind: »Dies Kind wird uns Alle vergessen machen!«
H.'s Compositionen sind an Zahl so enorm, dass sie schwerlich vollständig zu catalogisiren sind; kannte er zuletzt sie doch nicht einmal mehr alle. Seine Opern übersteigen die Ziffer hundert und seiner Oratorien, Messen, Cantaten, [S. 90] Instrumental-Concert- und Kammersätze ist Legion; jedoch ist dieser Nachlass mehr umfangreich als mannigfaltig. Ausser vielen Textbüchern des Apostolo Zeno hat er die sämmtlichen dramatischen Werke Metastasio’s, ausgenommen den »Temistocle«, in Musik gesetzt, und zu den meisten Stücken des grossen italienischen Dichters hat er nicht blos eine, sondern zwei, drei bis vier Parti turen geliefert. Das war ja auch die Methode, nach welcher alle italienischen Componisten jener Musikepoche von Pergolese bis Paisiello verfuhren. Ein annähernd vollständiges Verzeichniss aller dieser Werke bieten Gerber und Fétis in ihren Wörterbüchern; wir dürfen uns die seitenlange Aufzählung der längst verschollenen Titel und Namen deshalb ersparen. Den reichsten Manu scriptenschatz dieses Meisters bewahrt die königl. Bibliothek in Dresden; aber auch in allen grösseren deutschen Bibliotheken Deutschlands ist sein Name mehr oder minder stark vertreten, besonders in der k. k. Hofbibliothek in Wien, die an Handschriften besitzt: Ein vierstimmiges »Miserere«, »Confitebor«, »Kyrie und Gloria« und »Te deum«, sämmtlich mit Instrumentalbegleitung, ferner eine »Can tate für Sopran«, vier »Salve regina«, ein »Regina coelia, Litaneien (36 Blätter) und drei Arien. Karl von Bruyck begleitet die Aufzählung dieser Werke mit der kritischen Randglosse: »Alle diese Arbeiten enthalten mehr oder minder viel des Trefflichen und Interessanten. Auszunehmen wären die ganz manie rirten »Salve regina« und die Litaneien, abgesehen von dem musikalisch inter essanten »Agnus dei.«